Agli astronauti restava ormai solo un’ora alla fine della loro avventura: per tutti loro la destinazione erano le acque del Pacifico, dove li attendeva la squadra di recupero. Era ora di fare un po’ di ordine all’interno della cabina del CM: tutto doveva essere stipato all’interno degli appositi spazi ed assicurato in modo da non essere pericoloso nelle agitate fasi del rientro (chiedete ad Alan Bean per informazioni). Era anche il momento di montare la cinepresa da 16 mm vicino al finestrino di rendezvous di destra, in modo che potesse riprendere tutto il rientro: l’obiettivo non puntava direttamente all’esterno, ma riprendeva ciò che veniva riflesso da uno specchio appositamente posizionato.
Nel frattempo era stato completato il riscaldamento dei motori dell’RCS del Command Module, motori che una volta entrati nell’atmosfera avrebbero garantito la manovrabilità della capsula e assicurato una certa stabilità ai movimenti di beccheggio e imbardata.
La carica delle batterie (due) dei sistemi pirotecnici veniva verificata ed eventualmente aumentata tramite energia presa del Service Module (se inferiore ai 35 volt). Una terza batteria veniva collegata al bus di alimentazione principale: questa sarebbe diventata la principale fonte di energia dopo la perdita delle celle a combustibile. Un ulteriore controllo della deriva del GDC serviva a valutare l’affidabilità di due strumenti di navigazione che da esso prendevano i dati, l’FDAI di destra e l’RSI (lo strumento che mostrava la direzione del vettore portanza.